Emozioni di una terra senza tempo
Non lasciatevi ingannare dal paesaggio sardo. La prima impressione è quella di una terra totalmente immobile, quasi bloccata nella fase stessa della sua emersione dal mare; l’idea di una preistoria ininterrotta, anzi di una primitività assoluta. E’ l’impressione che viene al visitatore dalla solitudine, dal silenzio, dalle alture deserte, dal solerte susseguirsi degli altopiani digradanti in azzurri sempre più grigi fino alla linea dell’orizzonte. L’idea, insomma, di una terra che è rimasta “come Dio l’ha fatta”.
Ma guardiamolo più da vicino, il paesaggio. Vedremmo in realtà, più o meno evidenti, le tracce dell’attività dell’uomo. Territori modellati dall’azione di un lavoro contadino, arcaico ma meticoloso, che nel corso dei secoli ha marcato il paesaggio con segni delle colture dominanti: i campi di grano del Campidano e dell’Anglona, i vigneti del Mandrolisai e della Gallura, gli oliveti del Bosano e del Sassarese. La storia agraria della Sardegna ha conosciuto in seguito interventi anche più profondi: le bonifiche dell’Oristanese, le grandi opere irrigue nelle zone asciutte, e più ancora i numerosi laghi artificiali hanno disegnato in diverse parti dell’isola una nuova geografia.
Non v’è dubbio, comunque che ciò che colpisce e rimane impresso sia davvero quell’affascinante senso di primordialità che sprigiona dai grandi spazi intatti e dai grandi silenzi.
Non sarà solo la straordinaria varietà del paesaggio a riservare un continuo susseguirsi di sorprese, ma anche tutte le grandi e piccole ricchezze dell’archeologia, della storia, della cultura dei Sardi.
Gioielli profusi e diffusi su tutto il territorio isolano, nelle città come nei paesini, sulle coste come nelle campagne e nelle alture. Basta abbandonare le direttrici più consapute per vedere quella che viene chiamata da molti la Sardegna più vera”, che è - nei luoghi, negli uomini e nelle cose – quella interna. |